Il coraggio non ha età.
Sobhan, uno studente diciannovenne di Teheran, si è unito alle proteste scatenate dall’arresto e dalla morte in circostanze sospette di Mahsa Amini.
La ventiduenne è deceduta tre giorni dopo il suo arresto per violazione della legge sull’obbligo del velo. Un evento che ha sconvolto sia l’Iran che la comunità internazionale.
Sobhan stava manifestando nella sua università, quando i basijis, una milizia di volontari paramilitari, hanno arrestato un suo amico. “Noi viviamo così. Non sappiamo se rivedremo ancora i nostri amici. Io temo di perdere il mio” confessa al Guardian.
Le donne, che manifestano senza velo, sono però, secondo il ragazzo, le più coraggiose.
Non sono da meno gli uomini, di ogni età ed estrazione sociale, che si sono schierati al loro fianco. I più giovani spesso affiancano le proprie madri.
Particolarmente contestata la direttiva del 5 luglio che ha esteso l’obbligo dell’hijab anche al collo e alle spalle.
Una misura che ha scatenato un’ondata di indignazione sui social, dove molte donne iraniane hanno postato video in cui apparivano senza il velo dietro l’hashtag #Iranprotest e #Iranrevolution.
L’istituzione il 12 luglio della Giornata nazionale dell’hijab e della castità ha innalzato ulteriormente la tensione.
L’inasprimento delle norme da parte del regime di Ebrahim Raisi sta plasmando la vita di tutto il paese.
Farbod, un pubblicitario di 44 anni, sogna per suo figlio una società in cui i teenager possano vestirsi come vogliono e usare liberamente i social network.
L’interruzione della rete da parte delle autorità a Teheran e in Kurdistan è la più drastica dopo quella del 2019 in seguito alle proteste per il carburante.
Una reazione alla duplice funzione del web sia di megafono delle proteste sia di spia delle violenze commesse dalle forze dell’ordine.
Con le connazionali, gli iraniani non condividono tuttavia solo la lotta per la libertà d’informazione e d’espressione, ma anche il desiderio di un cambiamento culturale.
Su Internazionale il filosofo sloveno Slavoj Zizek interpreta lo slogan dei manifestanti iraniani Zan, zendegi, azadi (donna, vita, libertà) come espressione della lotta di tutti, compresi gli uomini.
La condizione femminile, immortalata solo parzialmente da parametri come il Gender Gap Index e il Gender Development Index, è infatti il termometro dello stato di salute di un’intera società.
Una realtà sottaciuta anche dal democratico Occidente, che confina spesso il dibattito sul femminicidio e la discriminazione di genere entro forum e salotti televisivi tutti al femminile.
Non ha dunque tutti i torti Judith Butler, filosofa e attivista statunitense, quando afferma che una minoranza o collettività non può farsi carico da sola della battaglia per i propri diritti.
“Per cosa vado in questa terra lontana che nessuno ha mai raggiunto? Sono sola. Completamente sola”
mormora una donna in Dreams, raccolta di racconti della scrittrice sudafricana Olive Schreiner che ha ispirato Emmeline Pankhurst.
Un rumore di passi “miriadi di miriadi, migliaia di migliaia”, le infonde però il coraggio di andare avanti.
Una musica per le orecchie delle donne iraniane, da oggi mai più sole lungo il loro cammino.
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