Per un Paese il calcio è una modalità estremamente efficace per guadagnare visibilità e prestigio agli occhi dell’opinione pubblica e plasmare il consenso delle persone. La Cina di Xi Jinping rappresenta l’espressione più vivida e recente di questo fenomeno.
Guardando alla storia del Belpaese, viene subito alla mente il Mondiale italiano del 1934. Il torneo servì a Mussolini per legittimare il proprio governo agli occhi degli osservatori internazionali. Il Duce voleva dare prova dell'efficienza del regime e consolidare il sostegno interno della popolazione, che crebbe grazie anche alla vittoria poco trasparente dell’Italia. O ancora il caso del Sindaco di Napoli Achille Lauro, che utilizzò il Napoli come cassa di risonanza - vi viene in mente qualcun altro? - per la propria carriera politica.
Spostandosi dai confini nazionali ha destato molto interesse il recente acquisto da parte del Ministero dello Sport turco della squadra del Basaksehir, su indicazione di Erdogan. Una mossa, questa, finalizzata all'accrescimento del bacino di sostenitori dell’AKP (il partito del Sultano) e a scalfire l’egemonia del trittico Fenerbahce, Besiktas e Galatasaray, le cui tifoserie si sono trovate spesso in contrasto con i dettami del governo di Ankara.
Ma come dicevamo prima è la Cina a rappresentare l’esempio più interessante di questa connessione tra calcio, politica e propaganda.
Come riportato da Emma Lupano nelle pagine de’ Sulla Via del Catai, dopo l’ascesa al potere di Xi Jinping nel 2012, il Partito Comunista Cinese ha cominciato a valorizzare il settore del calcio e a utilizzarlo come strumento di soft power (ossia come mezzo per creare consenso senza coercizione, attraverso l’influenza culturale). Questa decisione ha una doppia valenza: internamente serve a promuovere sentimenti patriottici e ad alimentare il consenso nei confronti del Partito Comunista; esternamente a promuovere l’immagine di una nazione forte e moderna, degna di legittimazione internazionale.
Già nel 2011, quando era ancora Vice Presidente della RPC, Xi aveva espresso tre obiettivi per il calcio cinese: qualificarsi di nuovo ai mondiali, impresa che è riuscita solo nel 2002; ospitare i mondiali in Cina (la candidatura per il 2034 sembra molto forte, ma già nel 2018 il conglomerato cinese Wanda aveva sponsorizzato l’edizione russa); e infine vincere i mondiali, obiettivo che risulta più complicato, considerato lo scarno settantasettesimo posto raggiunto nel ranking FIFA dalla nazionale dei Dragoni.
La strada appare sicuramente in salita, ciò nonostante, per provare a centrare questi obiettivi il governo cinese ha varato un piano per incentivare la diffusione della pratica calcistica tra la popolazione. Secondo il Partito Comunista Cinese è necessario promuovere il calcio a livello amatoriale e introdurre misure per renderlo una materia obbligatoria nelle scuole, costruendo almeno un campo da calcio ogni diecimila persone entro il 2025 e dando vita a numerose scuole calcio per allenare i ragazzi più promettenti del paese.
Negli ultimi anni numerose società calcistiche cinesi hanno acquistato giocatori stranieri provenienti dai campionati sudamericani ed europei con l’obiettivo di rafforzare le proprie rose e di raggiungere il livello delle squadre più forti. Allo stesso tempo, alcuni imprenditori facoltosi sono diventati proprietari o membri del CDA di alcuni club stranieri (Zhang Jindong del gruppo Suning ha acquistato l’Inter), contribuendo a diffondere l’immagine della Cina come potenza sportiva. Per rendere la nazionale più competitiva il governo cinese ha cominciato a naturalizzare alcuni giocatori stranieri per poterli convocare con la rappresentativa del Paese, come il brasiliano Elkeson, naturalizzato col nome cinese di Ai Kesen.
La scalata alle più alte cariche dell’amministrazione calcistica dei dirigenti cinesi ha poi portato, dal 2017 al 2019, all’elezione di Zhang Jian a membro del Consiglio della Fifa, organo esecutivo della federazione. In ambito organizzativo, inoltre, la Cina sarà chiamata a organizzare la Coppa d’Asia del 2023 e più avanti la prima edizione dei nuovi Mondiali per club, competizione alla quale parteciperanno ventiquattro squadre da tutto il mondo e che sostituirà la formula attuale del torneo già sponsorizzata dalla compagnia cinese Alibaba.
Ma il percorso della Cina nel mondo del calcio non è tutto rose e fiori. La crisi economica scaturita dalla pandemia ha costretto numerose proprietà cinesi a ridurre gli investimenti o a ritirare la propria partecipazione dalle società calcistiche straniere e nazionali. Ricordiamo il recente caso dei campioni nazionali dello Jiangsu, il cui proprietario Zhang Jindong, è stato costretto a sospendere l’attività sportiva per ovviare alla crisi. Per incentivare la valorizzazione dei talenti locali ed evitare una fuga eccessiva di capitali, è stato deciso che i singoli stipendi dei giocatori stranieri non potranno superare il limite dei 3 milioni di euro.
Una situazione all’apparenza critica, ma che difficilmente potrà ostacolare le ambizioni del Dragone. Stiamo pur sempre parlando di una nazione che negli ultimi anni è riuscita a imprimere un’accelerata senza precedenti all’economia e allo status internazionale del Paese, ponendosi in diretta concorrenza con il modus vivendi degli Stati occidentali. C’è da aspettarsi quindi che il prossimo terreno di scontro – oltre agli indici di crescita, gli investimenti nelle infrastrutture e i rapporti con gli altri Stati – sarà anche quello in erba del campo da calcio.
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