L’Higher Steering Commitee for Arabs in the Negev (HSCAN) ha indetto uno sciopero generale nel Sud di Israele.
Obiettivo della protesta quello di portare all’attenzione delle autorità internazionali i problemi causati dal progetto di afforestazione dell’area, avviato a inizio 2022 dal Jewish National Fund (JNF).
Sostenuta dal governo israeliano e costata 48 milioni di dollari, l’afforestazione dell’area è parte di una missione politica e ideologica più ampia.
Per i leader del Jewish National Fund il progetto permetterebbe infatti di coronare il sogno sionista di far fiorire il deserto.
Le autorità israeliane hanno garantito che i beduini potranno vivere in centri urbani migliori di quelli attuali, favorendo lo sviluppo economico dell’area. Il “Piano strategico per lo sviluppo del Negev” del 2005 rende però evidente che l’obiettivo reale sia l’aumento della popolazione ebrea nella zona e la creazione di campi di addestramento militari.
I beduini si sentono i proprietari dell’area, che occupano da prima della fondazione di Israele, e rivendicano per questo il diritto di pascolare su questi terreni.
La piantumazione di alberi non autoctoni, sarebbe inoltre dannosa per l’ecosistema desertico della zona e nel 2020 la Society for the Protection of Nature in Israel (SPNI) aveva portato il caso in tribunale. La corte si era però espressa a favore del progetto, consentendo al Jewish National Fund di procedere.
Per assicurare la riuscita delle operazioni, l’organizzazione ha inviato in alcuni villaggi escavatori e bulldozer scortati dalla polizia. Il 12 gennaio le proteste hanno portato a uno scontro fisico, quando i militari hanno disperso con granate stordenti i manifestanti, colpevoli di aver lanciato pietre contro i mezzi e aver bloccato i lavori.
L’opinione pubblica si è divisa come in altri casi.
La stampa israeliana si è focalizzata sui ferimenti della polizia e ha incolpato i beduini di essere un intralcio allo sviluppo dell’area, ritenendo per questo necessario l’uso della forza. I media palestinesi si sono concentrati invece su questioni come l’usurpazione della terra e la giudaizzazione del Negev.
Dal punto di vista israeliano la disputa è inoltre classificata come una contesa legale sulla terra. Nella legislazione i territori del Negev appartengono allo stato d’Israele come altre aree e per questo le istanze avanzate dai beduini vengono giudicate infondate.
I beduini però sostengono che il progetto sia parte della più larga politica israeliana di appropriazione terriera, che temono possa cancellare la loro cultura e identità. Per questo motivo le proteste non si sono fermate neanche difronte alla sentenza emessa dalla corte.
C’è una novità. A differenza di altre contese, questa volta la disputa si colloca in un contesto politico diverso. Grazie alla presenza della Lista Araba Unita nella coalizione di governo, i beduini hanno infatti dei rappresentanti in Parlamento.
Il governo è molto fragile e ha bisogno di tutti i suoi esponenti per poter sopravvivere. Il leader della Lista Araba Unita ha minacciato di togliere il suo sostegno se il progetto andrà avanti, permettendo la sospensione dei lavori, in attesa di poter trovare un accordo.
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