Le pietre di un palazzo del 400’ prendono vita, il paesaggio diventa cornice autentica e le voci della storia diventano memoria collettiva. È il genius loci, cioè lo spirito del luogo che viene vissuto e interpretato dall’occhio artistico di Carlo Casillo.
Lui assieme a Mariano De Tassis hanno dato vita ad una miscela di narrazioni sonore ed estetiche per far sì che un luogo si racconti a chi inizia a viverlo autenticamente.
Un progetto che porta il nome di Miscele d’Aria Factory volto a produrre spettacoli, eventi, percorsi sensoriali immersivi e sinestetici. Sono tutte narrazioni che ricostruiscono una memoria collettiva. Dalla tematica della Grande Guerra nello spettacolo “Sensazioni forti” fino alle sonorizzazioni che fanno parlare le opere degli artisti come quelle installate nell’ambito della manifestazione di RespirArt.
Poi, l’indagine sulla fragilità umana nella malattia come in “Record Duets”, dove uomini e donne con l’Alzheimer cantano le canzoni di cui hanno memoria e lo fanno in tutta la loro vulnerabilità e autenticità. Il tutto riarrangiato da musicisti che hanno saputo dare sfumature diverse. E commuovere.
Un cammino sensoriale, un caleidoscopio di suggestioni sonore, musiche e voci dal passato, che ritornano anche nello spettacolo andato in scena, per la prima volta, al Trento Film Festival lo scorso 6 maggio. In questa intervista, Carlo Casillo ci racconta il suo spettacolo "Ricordate. Percorsospettacolocordataimmersivo.”
Come nasce l’idea di questo spettacolo?
“Questo spettacolo è stato prodotto in collaborazione con il Trento Film Festival. Abbiamo un rapporto di lunga data con il festival dal 2008, quando il direttore era l’attore Maurizio Nichetti. Io gli proposi un musical sulla montagna e sulla migrazione. Da lì è partita la nostra collaborazione. Ci hanno chiamato per molto tempo e quest’anno ci hanno chiesto di fare una produzione.
Ho cercato di utilizzare come focus un luogo che in questo caso è il Museo Diocesano di Trento. Un Museo di arte sacra, situato in piazza del Duomo, nel fulcro della città, ricco di statue e quadri raffigurati come sacri. Era inevitabile per noi collegare il tema del sacro con il tema della montagna.”
Nello spettacolo ci sono dei suoni che arrivano allo spettatore attraverso delle cuffie wireless.
“È la nostra peculiarità. Noi abbiamo iniziato nel 2014 ad utilizzare questo strumento come strumento creativo e non solo dal punto di vista tecnico per amplificare il suono. Il primo spettacolo che facemmo con le cuffie si chiamava “Angelo del Soldato”, andato in scena nell’anno dell’anniversario della Grande Guerra, iniziata un anno prima in Trentino rispetto al resto d’Italia.
Noi producemmo questo spettacolo che aveva come caratteristica quello di essere destinato a luoghi non tradizionali come forti, grotte e gallerie. Quindi, l’utilizzo delle cuffie wireless era da un lato uno strumento comodo per situazioni difficili (riverberi, …) e dall’altro uno strumento drammaturgico perché in quell’ambito volevamo raffigurare il tema del soldato, dell’isolamento e dell’accerchiamento. La cuffia aiuta ad isolarti in un rito collettivo. Sei da solo ma sei insieme ad altri. Aiutano molto lo spettatore a concentrarsi.”
Lo spettatore è parte di una vera e propria genesi creativa
“Assolutamente. Sono spettacoli esperienziali dove l’elemento dell’esperienza sensoriale, che è nata ovviamente dal suono, è in relazione dell’ambiente. Una ricerca che cerchiamo di fare come duo artistico che porta il nome di Miscele d’Aria Factory. Io curo la parte musicale mentre Mariano De Tassis che è un light designer di fama nazionale e internazionale si occupa della regia e degli aspetti estetici perché in certi ambiti utilizziamo anche le luci.”
Perché il tema della cordata?
“Cerchiamo di concentrarci prima sull’elemento drammaturgico e conseguentemente andiamo a cercare collaborazioni con musicisti che possono aiutarci. All’inizio, ci siamo posti la domanda su come coniugare il sacro con la montagna che è un tema ripetutamente indagato nell’arte.
Il tema è stato quello della cordata anche perché noi siamo andati alla ricerca del cosiddetto genius loci, cioè lo spirito di un luogo. Quel luogo è un museo di arte e ricordi, perché sono opere d’arte che risalgono al Quattrocento in poi, ma anche caratterizzato dal fatto che è disposto su più piani, collegati da scale. Ogni sala corrisponde ad un piano fino ad arrivare al terzo, dove c’è la bellissima sala degli ori. Lì sono esposti gli ori dei vescovi di Trento che erano una potenza all’epoca. La configurazione di questo luogo ci portava ad immaginare che fosse una salita. Poi, la domanda chiave che si fa l’uomo da sempre quando sale in montagna è perché sale e che cosa cerca andando in alto, verso l’infinito.
Il sacro è la raffigurazione della divinità in tutte le sue declinazioni dai greci antichi fino a quella cristiana e a tutte quelle religioni che vedono il cielo, il sacro e la montagna come il luogo di consacrazione della sacralità. La cordata è una sorta di processione di uomini che si uniscono, anche spiritualmente, fino a raggiungere una destinazione. Qui nasce il tema della cordata.”
Un’altra tematica è la memoria
“Innanzitutto, il Museo Diocesano è di per sé un luogo sacro della memoria dove sono raffigurate le divinità. Ma l’altro elemento è legato al settantesimo del film festival della montagna. Ci è stato chiesto di raccontare un po' la storia del Trento Film Festival che rappresenta la storia della nostra città e che ha caratterizzato la cultura della montagna in Italia e nel mondo.
Come facciamo unire questa cordata e spiritualità con il festival? L’idea è stata di fare queste sale in cordata e ogni sala è un campo base dove c’è una sosta e si assiste ad una performance musicale. Alla fine di questo percorso abbiamo fatto sedere le persone che si sono sciolte dalla corda perché arrivate a destinazione, dunque, sono in una condizione di sicurezza.
Ci sono poi 20 minuti di proiezione in cui vengono raffigurati degli arrivi in vetta. Un richiamo al finale di Cinema Paradiso, dove si vedono tutti quei baci. Dal punto di vista musicale, questo finale ha raccolto i segmenti che avevamo disseminato durante questi percorsi. Il primo non poteva che non essere il canto gregoriano per il concilio di Trento che viene raffigurato in un quadro famoso esposto proprio in quel museo.”
Hanno collaborato diversi musicisti nel progetto
“Sì. Ci siamo avvalsi della collaborazione di Roberto Gianotti, autore e insegnante al Conservatorio che è un po' un’istituzione nel mondo della musica gregoriana, in Trentino, ma possiamo dire tranquillamente anche in Italia e non solo.
Poi, un altro duo, che ha suonato nella seconda sosta (sala), composto da Lisa Bergamo e Corrado Bungaro. Corrado ha suonato uno strumento antico che è un’arpa simile ad un violino molto particolare risalente al Medioevo. Lì ho scelto un brano un po' ri-arrangiato del 1400 che ha un tema antico ri-cantato. Si chiama “Zefiro”.
In un’altra sala ho preso un brano di montagna ed è connesso al tema del sacro. Una canzone che consacra un alpinista morto in vetta, quindi come tematiche c’è l’alpinismo e la morte in montagna che sono centrali nelle narrazioni epiche. Questo brano è cantato da Valerio Bazzanella, accompagnato da un trombone suonato da Gigi Grata.
Da ultimo, come collante dei vari luoghi, ogni volta che lo spettatore saliva le scale percepiva diverse sonorità tipicamente della musica tibetana. Tutte le volte che si arrivava ad affrontare le scale del Museo era presente questo mantra tibetano. Per fare questo ho chiamato un carissimo amico Enrico Tavernini che è un attore ma è bravissimo a fare il canto armonico, che è il canto sia mongolo sia della cultura tibetana. Nei sacri rituali i monaci tibetani riproducono questo suono con una modulazione della gola che crea più note in contemporanea. Tutte le volte che arrivavamo ad affrontare una scala, lui era sempre presente per riproporre questo canto.”
Cosa volevate lasciare allo spettatore?
“A noi interessa emozionare. Raccontare attraverso dei codici sonori in relazione al visivo. Essendo un luogo d’arte per noi è importante utilizzare questo connubio, creando un’esperienza immersiva, quasi cinematografica in un luogo ricco di storia.”
Infatti, esiste un vero e proprio lavoro registico e drammaturgico
“Esattamente. Uno degli elementi della regia sono i tempi. Noi, attraverso una regia mobile realizzata dal nostro amico fonico, abbiamo un mixer collegato a batterie di litio che teniamo in uno zaino; quindi, siamo autonomi dal punto di vista dell’energia. Ci consente di mixare il sonoro delle parti registrate con dei microfoni dal vivo.
Viene fatta quindi una regia dal vivo e in movimento. Il movimento però ha dei tempi. Noi costruiamo lo spettacolo con un tempo che è definito, quindi, il gruppo si muove con un passo che noi viviamo. In questo caso, è la prima volta che lo facciamo ma non l’ultima.
La corda ci consente di tenere il gruppo più unito e più vicino. Se noi decidiamo che la corda sia di 20 metri questo significa che tra l’inizio e la fine della processione ci debbano essere 20 metri. La cosa interessante è che gli spettatori non hanno mai mollato la corda, su un percorso costituito da una scala abbastanza ripida. Qui è emerso lo spirito del gruppo che, come l’alpinista, arriva in vetta senza mai mollare. C’è stata coesione e partecipazione. È stata un’esperienza molto intensa.”
La corda come espediente che unisce passato, presente e futuro. Tradizione ed innovazione. I suoi spettacoli li potremmo definire concerti futuristi con uno sguardo al passato?
“Noi di Miscele d’Aria abbiamo trattato anche il tema del futurismo nelle nostre performance. Abbiamo fatto uno spettacolo in un forte di montagna di notte, che si chiamava “Rulli di luce” con 500 spettatori in cuffia, dove ho preso i vocali di Marinetti, poeta futurista, e lì il tema era la Prima Guerra Mondiale. Mariano ha fatto un’installazione luminosa di enormi fari di luce, tutti sincronizzati con la musica. Avevamo portato un coro di montagna, da considerarsi una band quasi rock che ha reso l’esperienza mistica. Questi fari di luce rappresentavano le illuminazioni e le contraeree dell’epoca. Questa è un’idea folle ma attuale e futurista dell’uomo macchina e dell’uomo guerriero.
Aggiungo che ho visto piangere delle persone negli spettacoli che riguardano la Grande Guerra. Una commozione che arriva anche provocata dal fatto di saper unire e comporre i vari frammenti che appartengono ad epoche diverse.”
C’è riscontro dal pubblico giovanile? È un’esperienza che consiglieresti ad un giovane musicista?
“Ognuno ha il suo percorso e devo dire che hanno iniziato a copiarci. Ci fa capire che la nostra esperienza ha funzionato. Avevo visto anni prima uno spettacolo teatrale che mi aveva sconvolto. Avevo da anni questa idea delle cuffie e poi l’ho declinata così e questo grazie anche all’aiuto della tecnologia. A distanza di anni, vedo che molte compagnie teatrali le stanno utilizzando. Devo precisare che non è perché se ho una chitarra Stratocaster sono Jimi Hendrix. Se non la sai suonare, quello strumento produce solo rumore. Così vale anche per l’utilizzo che fai della cuffia. Arrivi a fare queste cose non da un giorno all’altro. Ho 53 anni, ho iniziato ad ascoltare la musica a 12 anni, a 16 arriva il jazz che mi ha folgorato e a 20 anni la musica etnica. Mastico, ascolto, suono, provo e colleziono strumenti musicali etnici, viaggiando e andando in alcuni posti per comprare determinati strumenti. Piccoli passetti per arrivare a dove sono adesso.”
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