top of page
  • Immagine del redattoreElisa Egidio

Digiti. Una rivista per riscoprire il piacere della scrittura

“Un sogno è una scrittura e molte scritture non sono altro che sogni”, dice Guglielmo ad Adso ne Il nome della rosa.

Un segreto inconfessabile nella società 4.0, che ha trasformato il corsivo in una moda virale su Tik Tok e la scrittura in un tic attraverso cui digitare hashtag e didascalie a selfie preconfezionati per Instagram.

Un isterismo che interrompe il ritmo lento e fluido della penna sulla pagina, dal cui incontro può scaturire una scintilla.


A riaccenderla ci prova, con successo, Digiti, Rivista manoscritta a cadenza semestrale, realizzata dagli studenti e dottorandi del Dipartimento di Lettere e Filosofia di Trento con la regia della professoressa Adriana Paolini, con l’ambizione di riscoprire le potenzialità della comunicazione mediante la scrittura a mano.

Nel primo numero, dal titolo "Movimento", disponibile sulla piattaforma Teseo, riflessioni e approfondimenti che spaziano dalle arti alla politica, dalla storia alla filosofia. Un lavoro di oltre 200 pagine, suddivise in cinque sezioni: Lib(e)ri di scrivere e di costruire, Espressioni, Visioni e coscienze, Storie e culture, Sguardi.

In copertina, l’opera Calligrafia Ancestrale datizzata dell’artista trentino Angelo Demitri Morandini.

 

Professoressa Paolini, com’ è nato il progetto?

"Ho incontrato nelle mie letture di lavoro, di studio, l’esperienza di una rivista manoscritta di inizio Novecento che si chiamava Lucciola. Nata da una donna siciliana che ha organizzato una corrispondenza tra tutte le redattrici (quasi tutte donne) era, non dico diffusa, ma comunque utilizzata.


Avevo pensato di fare una cosa analoga al di fuori dell’università - ci penso da anni - però quest’anno mi è capitato un gruppo di studenti particolarmente vivace, quindi questa idea è diventata una proposta per loro. Una rivista non più per corrispondenza, ma manoscritta, aperta agli studenti sia della triennale che della magistrale, ma anche a tutti.


A questo primo numero hanno partecipato anche tre docenti, a parte me, che ho fatto l’editoriale. È uno spazio aperto per gli studenti, i quali sono chiamati a scrivere a mano, a recuperare un’abilità, un talento, dico io, perché negli anni, nella mia esperienza, oltre a insegnare paleografia all’università, ho fatto tanti percorsi legati alla scrittura anche alle superiori, alle medie e alle elementari. Ho visto che la scrittura a mano viene utilizzata tanto anche al di fuori della scuola, a tutte le età.


La sfida in questo caso era utilizzare un mezzo di comunicazione, che è la scrittura a mano, che costringe, in particolare col corsivo, a un ritmo di riflessione e di pensiero più lento, anche di movimento, che però è un movimento fluido. Il movimento della mano accompagna il pensiero, le parole, che poi vengono scritte.


E poi c’è un terzo aspetto, che è quello di rendersi comprensibili ai lettori, così siamo costretti a trovare un modo per essere efficaci nella comunicazione. Questo significa anche imparare di nuovo un modo personale di comunicare verso l’esterno."

 

Da qui il titolo del primo numero, Movimento?

"No, quello è del tutto casuale. Per la scelta dei temi si fa una lista e poi si vota democraticamente per alzata di mano."


I redattori hanno seguito un corso di scrittura?

In realtà non è che si dimentica, ognuno si abitua diversamente, tutti hanno scritto in corsivo senza bisogno di fare alcun tipo di esercizio.


Per poter avere una maggiore garanzia di leggibilità e per dare al numero fisicamente, graficamente, una certa coerenza, abbiamo creato delle griglie sul modello dei quaderni dei primi anni delle elementari, con sistemi quadrilineari, con al centro il corpo della lettera e, sopra e sotto, gli ascendenti e discendenti. Abbiamo dovuto obbedire a queste grandezze e a un’impostazione della pagina. Questo ha permesso comunque di mantenere ognuno il proprio stile di scrittura, ma allo stesso tempo c’è il rispetto del lettore, perché abbiamo obbedito a delle regole di leggibilità.

Immagine da Pixabay

 Quanto tempo ha richiesto la redazione del primo numero?

"Abbiamo cominciato a lavorare a maggio, abbiamo fatto circolare una call in cui si chiedeva una proposta per i contributi, per il tema Movimento. Sono arrivate all'inizio di luglio le proposte, perché abbiamo chiesto una scadenza di consegna, dopodiché abbiamo deciso che tutte le proposte erano interessanti, abbiamo costruito il numero e alla fine di settembre abbiamo ricevuto tutti i contributi manoscritti.


A quel punto c’è stata la revisione interna, io, un altro docente e alcuni del comitato di redazione, formato esclusivamente da studenti e dottorandi, abbiamo riletto tutto, in alcuni casi abbiamo chiesto di riscrivere perché la scrittura non era particolarmente chiara, in altri abbiamo aiutato a rendere meglio il contenuto. Nel comitato di redazione abbiamo anche un esterno, Andrea Andreatta, un artigiano rilegatore, che ci ha aiutato nella parte pratica della costruzione, della rilegatura.


Per la parte stampata abbiamo fatto molta attenzione anche al materiale che abbiamo utilizzato, perché, essendo un manufatto, era importante secondo noi evidenziarlo anche dal punto di vista del materiale.

È una rivista importante perché utilizza un mezzo che è la scrittura a mano, che di solito non è utilizzata altrove per l’esterno, poi, perché i contributi che ci sono arrivati sono state proposte molto pensate e ponderate.

Direi che c’è un livello medio alto nella qualità di questi pezzi. E sono per lo più di studenti, anche della triennale, che hanno tratto spunto dalla loro tesi o da argomenti che stavano loro a cuore. Abbiamo poi organizzato questi contributi in cinque sezioni tematiche."

 

A quale target si rivolge Digiti?

"I destinatari sono chiunque abbia la curiosità di poter leggere, non sono trattati scientifici, abbiamo una riflessione sui movimenti migratori, uno studente era stato colpito dalle lezioni su Copernico, abbiamo anche un racconto, riflessioni personali. Secondo me funziona per un pubblico di qualsiasi età e curiosità."


Si tratta di un unicum, o s’ispira ad altri modelli?

"In questo momento altre riviste manoscritte, avevo fatto una ricerca in rete, non ce ne sono, nel momento in cui ho cominciato a far circolare questa cosa, ho scoperto che negli anni '60 e '70, c’erano un sacco di queste iniziative, ma sempre circoscritte.


Rispetto a queste iniziative del passato, questo è un progetto didattico, quindi gli studenti non solo scrivono, ma imparano a stare in una redazione, a coordinarsi fra di loro. Adesso stanno lavorando a piccoli gruppi per preparare il secondo numero. Poi è soprattutto una rivista digitale, come portata può raggiungere un pubblico molto ampio.


Al momento abbiamo deciso di essere solo una rivista digitale e stampare solo alcune copie. Abbiamo stampato per tutti gli autori che hanno partecipato al primo numero e stamperemo ancora in occasione della pubblicazione della rivista che sarà il 29 febbraio. Poi vedremo che cosa succederà, perché c’è un grosso riscontro a tutti i livelli, dagli studenti che partecipano so che ci sono loro colleghi che stanno leggendo, che stanno scaricando il pdf e che hanno voglia di avere la copia cartacea tra le mani, la stessa cosa sta avvenendo da parte dei miei colleghi e dall’esterno. Io penso che dobbiamo essere in grado di comunicare sia con i mezzi che ci offre il digitale sia attraverso la scrittura a mano. Sono due modi diversi che si completano. Non vedo perché si debba rinunciare a uno di questi due."


Quale futuro immagina per la scrittura manuale?

"Io sono abbastanza fiduciosa, già vedendo le reazioni degli studenti, giovani dai 20 ai 25 anni, che però da come si sono posti, si capisce che scrivevano già da prima, la scrittura a mano è ancora considerata un aspetto importante, una parte di sé e del proprio modo di esprimersi, a cui mi auguro che, proprio partendo dall’esperienza di questi ragazzi, attraverso Digiti o altri modi che loro troveranno, si possa tornare.  Ė importante per imparare una tecnica e per poter imparare a esprimere noi stessi. Quando noi conosciamo noi stessi e sappiamo esprimerci, a quel punto si creano le basi per una relazione verso l’esterno."

bottom of page