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  • Ambra Proto

Hate Speech. Vittime o carnefici? L’educazione all’ascolto e all’accoglienza può fare grandi cose

Cos’è l’hate speech? Siamo vittime o carnefici di questo modo di comunicare? Come riconoscerlo?

Queste e altre domande sono state le protagoniste dell’incontro facente parte del ciclo di incontri del Festival Agenda 2030 dell’associazione Tempora ODV, tenutosi il 7 novembre 2023 presso l’Urban Center di Rovereto.

L’evento, dal titolo “HATE SPEECH – ODIO ONLINE” ha visto protagonisti tre esperti: la responsabile del gruppo di ricerca in Digital Humanities Sara Tonelli, il Presidente del Forum Trentino per la pace e i diritti umani Massimiliano Pilati ed infine la ricercatrice e sociologa Valeria Fabretti.


Proprio quest’ultima ha spiegato come l’hate speech sia un termine problematico, in quanto descrive un fenomeno che al suo interno ne coinvolge molti altri, assumendo spesso forme poco esplicite. Questo rende complesso comprendere bene chi sono le vittime, dal momento in cui tutti i caratteri identitari potrebbero essere potenzialmente, all’interno dello spettro dell’hate speech.


L’associazione internazionale sui diritti pubblica ogni anno quelle che sono chiamate “mappe dell’intolleranze”, grazie alle quali è possibile raccogliere dati e comprendere i risultati che vengono fuori analizzando i tweet in rete. Nella rilevazione del 2022 si è confermata una tendenza che mostra come le vittime siano più spesso le donne. Oltretutto, prese di mira sono perlopiù per caratteristiche personali come, ad esempio, la disabilità o l’orientamento sessuale.


Si è visto come in determinate giornate aumentino a dismisura messaggi di odio verso specifiche categorie di persone, come ad esempio i migranti. Si può dire quindi che le caratteristiche personali e i diritti individuali siano presi di mira, notando un inasprimento dell’intolleranza di aspetti ascritti e non acquisiti.


Successivamente Sara Tonelli, che si occupa di tecnologie legate all’AI, ci ha spiegato che quando si fa riferimento all’hate speech bisogna comprendere bene di cosa si parla.

A tal proposito l’hate speech detection è un sistema per colpire il cuore del problema, captandone gli elementi controversi e i gruppi presi di mira.

Chi è vittima di linguaggio d’odio, infatti, rischia di avere ripercussioni serie nella vita di tutti i giorni. Bisogna avere chiaro che la linea tra mondo reale e virtuale non è più così marcata.


Facendo riferimento all’Intelligenza Artificiale, si nota spesso come la tecnologia faccia fatica a riconoscere ciò che è stato prodotto da una macchina e ciò che al contrario proviene da un essere umano. Questo è molto pericoloso, infatti la presenza di un moderatore che blocchi i commenti offensivi e non solo è necessaria, ma spesso non basta. Proprio per questo l’AI, può far fronte a quei risultati a cui l’uomo da solo, non riesce ad ottenere.


Durante l’evento ha preso parola anche la pedagogista giuridica Anna Baccon, la quale ha spiegato come l’odio sia un costrutto sociale all’interno del quale confluiscono vari fattori.

Al contrario della rabbia, che è uno stato emotivo passeggero, l’odio è duraturo e, sedimentandosi diventa disprezzo. La persona vittima di disprezzo è de-umanizzata; non è più una persona. Alla base dell’odio ci sono forti meccanismi di difesa, delle vere e proprie strategie che l’io mette in atto, quando la situazione che sta vivendo gli dà una carica emotiva troppo forte e quindi, insostenibile.


Tuttavia la consapevolezza permette all’essere umano di chiedersi cosa sta sentendo e cosa può fare per evitarlo. Massimiliano Pilati del forum Trentino per la pace, si è chiesto qual è il confine tra libertà d’espressione ed incitamento all’odio. Innanzitutto la comunicazione non violenta è qualcosa su cui bisogna lavorare, ma per trovare soluzioni, è necessario capire cosa è che manca.

Cosa manca alle persone, alle scuole e alla società? Il saper discutere.

Spesso si fa l’errore di studiare determinati fenomeni, senza discutere di questi. Le persone non sanno stare nel conflitto e tropo spesso, non sanno discutere in modo costruttivo di un argomento senza litigare. Alzare la voce per difendere la propria idea, interrompere o insultare l’interlocutore, sono meccanismi di difesa che portano a conflitti in grado di generare solo ed esclusivamente odio.


Così Massimiliano Pilati ha parlato dell’importanza di educarsi all’uso delle parole. Dietro alla comunicazione deve esserci empatia e rispetto degli altri.


Valeria Fabretti ha spiegato come al giorno d’oggi la soglia di sopportazione della violenza è nettamente aumentata, ragion per cui si tollera di più in nome della libertà d’espressione.

Spesso si sottovalutano gli effetti dell’odio. Al contrario è necessaria un’educazione di stampo civico, capace di rendere consapevoli tutte le persone che tutti i messaggi d’odio vanno a rafforzare un’immagine sociale e un discredito di certi gruppi.


Sara Tonelli ha raccontato di come l’Unione Europea stia iniziando a regolare e a gestire i dati online con la diffusione di una cultura che richiama all’attenzione.


Naturalmente ci sono piattaforme che accolgono di buon grado queste richieste e altre meno, ma qualcosa si sta muovendo. Non è giusto agire solo sull’odiatore, ma anche su chi assiste a determinate esternazioni, senza fare nulla per bloccarle. A tal proposito Massimiliano Pilati ha spiegato come il semplice vietare delle parole, non sia funzionale alla risoluzione del problema.


A conclusione della serata è stata sottolineata l’importanza di imparare ad ascoltare l’altro, anche nel caso in cui non si fosse d’accordo con lui, con pazienza e senza ostilità. Tutto questo al fine di affiancare alla sanzione, un’educazione idonea a contrastare situazioni sempre più ricorrenti, lasciando la prima solo per quegli episodi molto gravi.


Un’educazione costante e mirata, potrebbe essere davvero la soluzione giusta.

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