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  • Immagine del redattoreElisa Egidio

Kill the Bill. Un movimento, una petizione

Aggiornamento: 23 feb 2022

Il bersaglio non è il famoso sicario del film cult di Quentin Tarantino.

Il Police, crime, sentencing and courts bill, controverso progetto di legge avanzato in risposta alle proteste di Extinction Rebellion e Insulate Britain, vorrebbe conferire alle forze dell’ordine britanniche nuovi poteri restrittivi.

Tra questi, l’autorizzazione a perseguire manifestanti non sospetti, una pena fino a dieci anni di carcere per il danneggiamento di statue e memoriali, l’introduzione di una soglia massima di rumore.


Tutte misure bocciate e sottoposte a una proposta di emendamento alla Camera dei Lords il 17 gennaio. Attualmente si attende una nuova votazione alla Camera dei Comuni.

Kill the Bill, movimento di protesta non violenta, ha già messo una taglia su(l) bill, condannato da Amnesty International come violazione del diritto di manifestazione ed espressione. La causa ha mobilitato le principali città del Regno Unito: Londra, Edimburgo, Bristol, Liverpool e Manchester. Particolarmente accesa la protesta scoppiata il 12 febbraio a Cambridge e culminata nella marcia verso Parker Piece.

Kill the bill è anche l'omonima petizione lanciata sulla piattaforma Change.Org con un obiettivo: raggiungere le 5000 firme per l'abrogazione del disegno di legge.


L’ e-petition, come ricorda Michele Sorice, docente di Innovazione Democratica e di Political Sociology alla LUISS, è l’erede digitale della petition, istituto introdotto in Gran Bretagna nel Settecento. Uno strumento in mano ai cittadini per esprimere la propria voce attraverso la raccolta firme.

Ma quante, per esercitare un potere concreto sulle istituzioni?


Secondo l’ordinamento britannico i numeri parlano chiaro. Diecimila firme per avere una risposta dal Governo. Centomila per dare luogo ad un dibattito parlamentare.

Per la proposta e firma delle petizioni il parlamento mette a disposizione il sito (http:// petition.parliament.uk).


Una ricerca dell’Oxford Internet Institute condotta nel 2013 dal team di Taha Yasseri, esperto di scienze sociali computazionali, mette però in dubbio l’efficacia di tale esperimento democratico. Di 20 000 e-petition inviate al governo tra il 5 agosto 2011 e il 22 febbraio 2013, solo lo 0,1% contro oltre il 99% ha raggiunto le centomila firme, il minimo richiesto per esercitare un ascendente sulle istituzioni.


Un dato positivo è invece la partecipazione: 7,3 milioni le firme raccolte nel periodo analizzato, oltre alle dodici milioni di firme raccolte da più di cinque milioni di utenti dal 2006 al 2011 con la vecchia piattaforma.


Il momento finale del voto, del resto, non è tutto.


Non nella democrazia diretta, anticamera del plebiscitarismo, Sorice intravede infatti la vocazione più profonda delle petizioni online, ma in quella deliberativa. Il termine deliberazione, in italiano sinonimo di decisione, viene inteso dal sociologo con l’accezione anglosassone di processo decisionale.


Non l’istantaneità di un click, che depotenzia l’attivismo a mero clicktivism, ma il confronto ragionato, i forum, lo scambio di informazioni e di opinioni. Kill the bill dimostra inoltre che la partecipazione non si risolve nella sua versione online, ma in questa trova una fedele alleata.


Il billicidio s’ha dunque da fare?


Una cosa è certa: la democrazia, un po’ come la vendetta di Beatrix Kiddo, è più simile ad una foresta che ad una strada dritta… La rete è solo uno dei suoi tanti sentieri ancora inesplorati.






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