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  • Martina Seppi

L’Isis-k rivendica l’ultimo attentato nella moschea di Said Abad in Afghanistan

Afghanistan, città di Kunduz. E’ venerdì 8 ottobre, orario di preghiera dei musulmani, quando un attentatore appartenente all’ISIS-K si fa esplodere all’ingresso della moschea di Said Abad, uccidendo almeno 50 persone e ferendone 100. L’attacco non è avvenuto a caso: scopo dell’attentato era la comunità hazara di musulmani sciiti, considerati eretici dalla maggioranza sunnita.

Questo è il secondo attentato suicida contro la popolazione afghana dalla partenza delle potenze occidentali. Domenica 3 ottobre (che per i musulmani equivale al primo giorno della settimana), diverse persone sono state uccise vicino alla moschea di Eid Gah a Kabul e circa 20 persone sono finite all’ospedale. Non è ancora chiaro se l’ISIS-K sia stato il responsabile, ma lo stesso gruppo estremista ha rivendicato numerosi altri attentati nella città di Jalalabad e ancora adesso rappresenta la minaccia politica e militare interna più pressante per il governo dei talebani.


Le vittime dell’attentato di Said Abad erano in prevalenza di etnia hazara, una minoranza culturale e religiosa già stata bersaglio delle violenze dello Stato Islamico durante la sua conquista dell’Iraq. Gli hazara sono colpevoli sia della loro provenienza etnica, sia della loro fede sciita. Attualmente la maggioranza dei musulmani sciiti si trova in Iran, ma l’etnia hazara è sparsa in diversi paesi del Medio Oriente, dove a prevalere è la fede sunnita.


Gli attentati dell’ISIS-K contro la minoranza sciita hazara hanno vita facile in Afghanistan: secondo fonti de La Repubblica, il 6 ottobre scorso una bambina hazara è stata rapita ed uccisa nel quartiere di Dasht-e-Barchi a Kabul. I talebani non fanno quasi nulla per proteggere le minoranza presenti sul loro territorio: chi poteva è scappato durante l’evacuazione delle forze occidentali, ma chi è rimasto teme per la propria incolumità.


L’Afghanistan conta sei gruppi etnici prevalenti. L’etnia pashtun è la più numerosa e conta circa il 42% della popolazione afghana. Seguono l’etnia tajik (27%), hazara (9%), uzbeka (9%), turkmeni (3%) e baloch (2%). Questa eterogeneità di etnie è una delle cause della difficoltà di gestione da parte del vecchio governo afghano formato dagli Stati Uniti, insieme ad una dilagante corruzione. Dato che i talebani si affermano come unica forza politica al governo e intendono adottare delle leggi in funzione della popolazione sunnita pashtun, tutte queste etnie sono minacciate per la prima volta dopo vent’anni.

In questo clima di incertezza politica e di grave insicurezza sociale per le minoranze afghane, l’ISIS-K sta mostrando sempre di più il suo lato violento ed estremista. L’ISIS-K, anche detto ISIS-Khorasan, è una costola afghana dello Stato Islamico. Il suo nome ha origine dal vecchio califfato della regione del Khorasan che comprendeva alcuni territori dell’Afghanistan, Iran, Pakistan e Turkmenistan. Ufficialmente, il gruppo armato si è istituito nel 2014 ed è composto da soldati talebani del Pakistan e combattenti afghani che hanno giurato fedeltà alla causa dello Stato Islamico di costruire un nuovo califfato nella regione dell’Iraq e della Siria e di poi estendere il loro dominio su altri territori del Medio Oriente.


L’ISIS-K si oppone al regime talebano, accusato di essere sceso a patti con l’Occidente. Inoltre, da un punto di vista religioso, l’interpretazione della shari’a da parte dei talebani non è in linea con quella dell’ISIS-K che si professa come lo Stato Islamico perfetto per un musulmano, dove la legge islamica è professata secondo una severa applicazione del Corano.


Durante il vertice speciale che si è tenuto in Italia il 12 ottobre, la Commissione Europea ha annunciato lo stanziamento di circa un miliardo di euro per prevenire una grave catastrofe umanitaria e una profonda regressione dei diritti civili delle donne e delle minoranze. Il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha ribadito la volontà degli Stati Uniti di affiancare le altre potenze occidentali nella lotta al rispetto dei diritti umani in Afghanistan.


La Russia ha chiesto una nuova discussione internazionale nel palazzo di vetro delle Nazioni Unite, probabilmente per discutere anche l’eventualità di un riconoscimento giuridico del regime talebano da parte dell’ONU. Tuttavia, resta aperto il tema della gestione dei profughi afghani. La Turchia ha espresso la sua preoccupazione al riguardo, dichiarando di non essere capace di sopportare l’arrivo di migliaia di persone ai suoi confini, già pressati dai profughi siriani.


Questo tema era già emerso durante la fase di conquista dell’Afghanistan da parte delle truppe talebane e in questi ultimi giorni è tornato in auge dopo che diversi paesi dell’Est Europa hanno chiesto dei fondi europei per costruire dei muri di filo spinato per contenere le possibili nuove ondate migratorie dal Medio Oriente e dalla Bielorussia.


Sarebbe opportuno ricordare che secondo il diritto internazionale, l’accoglienza e la protezione giuridica dei rifugiati e profughi di guerra è un obbligo dei paesi confinanti ritenuti sicuri, ossia sono paesi che al loro interno non presentano minacce per i profughi dal punto di vista sociale, culturale, religioso, sessuale e politico. E sarebbe anche opportuno ricordare che i trattati internazionali hanno un valore legale maggiore rispetto alla singola legge nazionale per quanto concerne gli articoli che i singoli stati hanno deciso di rettificare.


L’Europa è tuttora alle prese con l’emergenza sanitaria ed economica del Covid-19 e diversi paesi, tra cui l’Italia, devono ancora fare i conti con ondate di proteste dei cittadini no-vax e anti-green pass. Tuttavia, la questione afghana non va assolutamente dimenticata, altrimenti l’Afghanistan rischia di diventare uno stato politicamente instabile, isolato e un potenziale covo di movimenti terroristici di stampo estremista, come l’ISIS-K.

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