Nel prossimo periodo, la Francia inizierà il ritiro dal Mali dei propri soldati impegnati della missione “Barkhane”. Lo ha annunciato giovedì 17 febbraio il Presidente francese Emmanuel Macron, specificando che le operazioni dureranno tra i quattro e i sei mesi.
La Francia abbandonerà il Mali, ma non la regione del Sahel. Il centro della missione verrà trasferito al confinante Niger e anche nel resto dell’Africa Occidentale continueranno le azioni volte a limitare l’azione del terrorismo islamico.
La decisione ha provocato una certa sorpresa. Nonostante alcuni importanti elementi lasciassero pensare che Parigi si sarebbe mossa in questa direzione, in pochi si aspettavano che il ritiro venisse programmato così velocemente.
La scelta di Macron è stata criticata anche dai suoi avversari politici. In particolare, la candidata della destra Marine Le Pen ha parlato di umiliazione per la Francia e ha quindi colto l’occasione per provare a minare la credibilità dell’inquilino dell’Eliseo, in vista delle elezioni di aprile.
Parole aspre sono arrivate anche dal giornale Le Monde, che ha parlato di fine ingloriosa. L’ex ministro della difesa Hervé Morin ha invece paragonato lo scenario attuale a quello visto in Afghanistan lo scorso anno.
La Francia è presente in Mali dal 2013, quando l’allora Presidente Francois Hollande aveva deciso l’invio di truppe per contrastare l’avanzata delle forze jihadiste. Attraverso la loro azione, queste stavano minacciando di conquistare l’intero territorio del Paese africano. Inoltre, la presenza di tali milizie in Mali aveva fatto scattare l’allarme per la sicurezza dell’intero Sahel, la regione a sud del Sahara che comprende tra gli altri Senegal, Niger, Ciad e Burkina Faso.
Inizialmente, la missione francese aveva rappresentato un successo ed era stata accolta positivamente dalla popolazione. I soldati di Parigi erano riusciti nel giro di breve tempo a fermare l’avanzata jihadista e a riportare sotto il controllo del governo alcuni importanti centri, tra cui la città di Timbuktu.
Nel 2014, la Francia aveva deciso di allargare la propria presenza al resto della regione e aveva quindi istituito l’operazione Barkhane, composta da 3500 uomini. A questa era stata affiancata la task force Takuba, composta da truppe di altri stati europei e del Canada. Anche queste ultime sono coinvolte nel ritiro dei prossimi mesi.
All’iniziale euforia erano però seguiti presto numerosi problemi. L’azione francese era diventata via via meno efficace ed aveva lasciato spazio ad una parziale riconquista da parte delle milizie islamiche. Erano inoltre aumentati gli attentati e l’insicurezza e Parigi era stata accusata di neocolonialismo.
Nel 2020, i malumori verso la Francia erano stati tra le maggiori cause alla base del colpo di stato militare che aveva avuto successo a Bamako, la capitale del Mali. Il Presidente Ibrahim Boubakar Keita era stato accusato di immobilismo e corruzione, venendo indicato anche come il responsabile della dura crisi economica. Era stato perciò deposto dall’esercito, guidato dal colonnello Assimi Goïta.
I rapporti tra Francia e Mali, già difficili dopo il colpo di stato, si sono rapidamente deteriorati negli ultimi mesi. A maggio dello scorso anno un ulteriore golpe, sempre guidato da Goïta, ha portato all’interruzione della transizione verso nuove elezioni, rafforzando il ruolo dell’esercito.
La tensione è aumentata quando è stata rivelata la presenza in Mali di soldati mercenari della compagnia russa Wagner. La collaborazione era stata cercata dall’esecutivo per assicurarsi un supporto anche in caso di ritiro europeo. Infine, lo scontro è arrivato al suo culmine con l’espulsione dell’ambasciatore francese, a fine gennaio, e appunto la fine dell’operazione Barkhane.
Il ritiro della Francia dal Paese potrebbe in realtà risultare solo il primo di una serie di mosse in ambito militare. In Mali sono presenti infatti anche la missione MINUSMA, formata da truppe ONU, ed il progetto europeo EUTM, che mira ad un addestramento dei soldati maliani. Entrambe le operazioni sono a rischio e potrebbero concludersi, dopo la decisione di Parigi.
In particolare l’operazione delle Nazioni Unite scade a fine maggio ed un suo rinnovo sembra improbabile. L’impegno è stato criticato nelle ultime settimane dal nuovo governo tedesco, soprattutto, che come la Francia ha lamentato l’inaffidabilità del governo di Bamako e la presenza dei mercenari russi.
D’altra parte, un ritiro su larga scala è visto con preoccupazione dagli analisti e da alcuni degli Stati nella regione. Si teme infatti che il disimpegno dei Paesi europei possa lasciare campo libero ai jihadisti e che questi possano porre sotto il loro controllo vaste aree in poco tempo, sfruttando la debolezza dei governi locali.
La lotta alle milizie islamiche “non può essere un affare solo degli stati africani”, ha dichiarato il Presidente del Senegal Macky Sall.
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