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Immagine del redattoreElisa Egidio

La protesta iraniana raccontata da un esperto - Intervista a Pejman Abdolmohammadi

Alcuni ragazzi sorprendono un clericale alle spalle e gli danno un colpetto alla testa, quel tanto che basta a fargli perdere il turbante.

Il “saltaturbante” o “cleroterapia” non è una gag da candid camera, ma un vero atto di coraggio nell’Iran della Repubblica Islamica, dove mangiare in mensa insieme ai ragazzi o uscire senza velo può costare alle donne la vita.


Pejman Abdolmohammadi, Professore di Storia e Politica del Medio Oriente presso l’Università di Trento, tra i massimi esperti di Iran a livello nazionale e internazionale, sta monitorando gli sviluppi di un movimento di protesta che ha definito come il più moderno del Medio Oriente e di tutto il mondo.










Cosa stabilisce il codice di abbigliamento vigente in Iran e a quando risale?

Dopo la rivoluzione del ‘79 la Repubblica Islamica per 43 anni ha imposto il codice di abbigliamento islamico a tutte le donne iraniane, a prescindere da decreti vari. Questo codice chiaramente impone un rispetto della copertura dei capelli. Dato che la società iraniana è non monistica ma pluralista e la donna iraniana una donna per storia e natura forte, che non accetta diktat dall’alto, il codice di abbigliamento islamico, sebbene obbligatorio, è stato sempre criticato da buona parte delle donne, soprattutto quella parte che non accettava questa imposizione. Ci sono state varie resilienze da parte delle donne anche nel modo di indossare il velo. Più passava il tempo e più le ragazze contrarie al velo mettevano un foulard ed esponevano una parte dei capelli per dire “io sono costretta a rispettare questo perché me lo imponi ma se potessi non lo farei”. Poi c’è una parte che ci crede e si copre con il velo.


In che modo le donne iraniane hanno maturato la consapevolezza della propria forza?

La donna iraniana storicamente ha sempre avuto un ruolo forte, importante anche dal punto di vista militare, già nella storia preislamica dell’impero achemenide, dei Parti. Dal punto di vista filosofico e della storia persiana, iraniana, la donna è sempre stata considerata pari all’uomo. Nel mito della creazione zoroastriano, persiano, la prima donna e il primo uomo della terra nascono insieme e, a differenza del mito di Adamo ed Eva, nessuno nasce dalla costola. Questo si può rispecchiare nel fatto che il pronome terzo, in persiano, nella lingua parsi, volgarizzato in farsi in seguito all’invasione araba dell’Iran, (l’arabo non ha la p), è singolo, è u, e racchiude sia il femminile che il maschile, unica eccezione insieme a qualche lingua scandinava. Questo deriva dal fatto che il maschile e il femminile nella filosofia iraniana o iranica non sono stati distinti nel mito della creazione, tant’è che anche il dio o la dea del mito zoroastriano, Ahura Mazda, può essere sia maschio che femmina, può essere il signore o la signora sapienza. Dal punto di vista storico e filosofico la donna iraniana è quindi una donna forte. Dopo la Rivoluzione a stampo islamico portata avanti da una leadership che voleva emarginarla, la donna iraniana ha resistito per questi 43 anni ed è rimasta protagonista nella vita politica, culturale, economica, artistica e sportiva del paese, non grazie alla Repubblica Islamica, ma grazie alla sua forza e oggi, tramite le nuove generazioni, le ragazze, è diventata la leader del rinascimento iraniano e del più moderno movimento di protesta non solo del Medio Oriente ma del mondo.


I social network hanno svolto un ruolo cruciale sia nella circolazione delle informazioni sia come cassa di risonanza delle proteste. I cittadini privi dell’accesso a Internet, che secondo i dati Kepios a inizio 2022 costituivano il 15,9% della popolazione, come si informano riguardo a ciò che sta avvenendo?

C’è da dire che anche il restante 85% ormai da 50 giorni non ha accesso a Internet, perché è stato tagliato in quanto fonte che alimenta e mantiene vivo il fuoco della protesta, però ci sono le reti private Vpn, Starlink, ci sono piccoli filmati che ci arrivano, questa è una novità, nel 2019 invece tutto fu oscurato per 12 giorni. Anche quella percentuale senza accesso ha in casa il satellite, la tv satellitare che la repubblica islamica non è riuscita a osteggiare, perché viene guardata da milioni di iraniani e trasmette canali come BBC Persian, Iran International, che riescono a essere più incisivi, anche perché la credibilità della tv di stato nazionale è molto bassa. C’è una manipolazione dell’informazione molto forte e questo fa sì che le altre fonti di informazione diventino importanti.


Quali forze di polizia operano sul suolo iraniano e come si coordinano? I pasdaran (guardiani della Rivoluzione) detengono ancora il potere di cui godevano all’indomani della Rivoluzione islamica?

La polizia iraniana è divisa in varie sezioni: stradale, giudiziaria, etica. Quest’ultima ha il dovere di far rispettare i codici islamici soprattutto nel pubblico ma anche nel privato, è diventata la più importante perché ferma le persone per strada e c’è da 43 anni, ma c’è sempre stata, dagli albori della Repubblica islamica, con i pragmatisti, i riformisti e i riformatori. I pasdaran continuano a essere la forza principale, politica, militare ed economica del paese, mantengono una fortissima influenza a livello politico ed economico, sono al vertice della gerarchia.


Le università, epicentro di molte manifestazioni, possono essere considerate una roccaforte della resistenza iraniana?

Questo è un movimento di protesta policentrico, con molti centri, uno dei quali è sicuramente l’università, ma stavolta si sono aggiunte anche le medie e le superiori, perché l’età delle persone schierate in prima linea sono dai 12 ai 25 anni. Ci sono clip di persone nelle scuole che lanciano slogan come “Morte al dittatore”, oppure “Libertà, libertà, libertà”. Diffuso è anche il movimento del cosiddetto “saltaturbante” o “cleroterapia”, l’abitudine dei ragazzi di far saltare il turbante dalla testa dei clericali con un colpo.

Le università sia a Teheran che in altre città sono centri di protesta e performano anche proteste simboliche, che però non si limitano a chiedere ma vanno dritte all’azione. In una di queste i ragazzi e le ragazze hanno mangiato insieme in mensa, perché la Repubblica Islamica aveva diviso le mense delle donne da quelle degli uomini. I ragazzi hanno sfidato questi codici e stanno sostenendo le ragazze, anche mangiando insieme a loro, tant’è vero che allo slogan Zan zendegi azadi (donna vita libertà), i ragazzi rispondono Mar, mihan, abadi (uomo, patria e sviluppo/cura).


L’empatia degli uomini iraniani verso le connazionali è un fenomeno recente o radicato nella storia del paese?

Sì, c’è sempre stato, ma è un fenomeno più forte e più sentito nei giovani, la generazione più disastrosa è quella degli anziani, dei sessantenni che hanno fatto la Rivoluzione, che rimane in buona parte ancora silenziosa.


L’Iran si sta imponendo tra i maggiori produttori di droni, in particolare gli Shahed-136 utilizzati dalle forze russe. Un ulteriore fattore di frizione con gli Stati Uniti?

Ciò che sta avvenendo tra l’alleanza iraniana della Repubblica Islamica con la Russia e con la Cina è stato un motivo geopolitico molto importante di una linea ancora più dura da parte degli Stati Uniti democratici verso la Repubblica islamica dell’Iran. Gli Stati Uniti, al momento guidati dai democratici, vedono l’Iran nell’asse Russia-Pechino soprattutto per la questione dei droni. In questa prospettiva questo può provocare un aumento della pressione da parte del mondo statunitense nei confronti della Repubblica Islamica dell’Iran, che c’è già stata.








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