Lunedì 9 maggio 2022, la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha proposto di eliminare il principio dell’unanimità per le decisioni dell’Unione.
Secondo alcuni, la necessità di ottenere l’approvazione unanime per le decisioni più importanti mina l’autorevolezza dell’UE, rendendola incapace di rispondere prontamente alle crisi. Per altri invece, benché il processo decisionale sia difficoltoso e talvolta lento, l’unanimità rende le misure adottate più efficaci, perché frutto di un compromesso e sostenute da tutti gli stati membri.
Lo stesso giorno il concetto è stato ribadito dal Presidente francese Emmanuel Macron. Parole simili erano state pronunciate in precedenza anche dal Presidente del Consiglio italiano Mario Draghi.
I pronunciamenti di personalità così importanti hanno riportato in auge il tema della modifica dei trattati UE. Circola da tempo infatti l’opinione che, senza la necessità di raggiungere l’unanimità per le decisioni di politica estera e fiscale, bilancio e welfare, l’Europa potrebbe agire con maggiore efficacia e ambizione.
Qualcuno però la pensa diversamente e ritiene che l’unanimità conferisca una certa forza alle decisioni prese dagli Stati membri, nonostante le difficoltà che talvolta è necessario superare per raggiungere un accordo.
Inoltre, è probabile che i Paesi più piccoli, generalmente con minore forza contrattuale, non intendano perdere la possibilità di porre il veto. Difatti, semplificando, per modificare i trattati UE, ed eliminare così il criterio dell’unanimità su alcune questioni, serve l’unanimità.
L’unanimità fu il criterio decisionale della CEE (Comunità Economica Europea), della CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) e dell’EURATOM (Comunità europea dell’energia atomica). Allora però gli stati che componevano queste prime forme di aggregazione europea erano solamente sei (Italia, Francia, Germania dell’Ovest, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo). Il principio è poi passato alle organizzazioni continentali nate in seguito, tra cui appunto l’Unione Europea (costituita nel 1992 con il Trattato di Maastricht), che conta ad oggi 27 membri.
Il Consiglio dell’Unione Europea (l’organo legislativo con il Parlamento europeo), in seguito a una proposta della Commissione europea, può prendere una decisione a maggioranza qualificata (almeno il 55% degli stati membri, che comprendano almeno il 65% della popolazione europea). Non lo può fare però per alcune materie, tra cui la politica estera, la politica fiscale, il bilancio, la giustizia e il welfare. In tutti questi casi è richiesta espressamente l’unanimità.
Chi propone di cambiare le cose pensa agli insuccessi e alle difficoltà dell’Unione durante la cosiddetta crisi dell’eurozona, quella dei migranti e quella russo-ucraina del 2014. In questi episodi, ma anche in altri, l’Europa ha dimostrato una scarsa capacità di reazione, dovuta anche alle lunghe trattative necessarie per approvare una decisione in Consiglio.
Inoltre, proprio a causa del potere di veto di cui ogni stato membro è dotato, le misure più ambiziose spesso non vengono nemmeno prese in considerazione. Non sono poi rari i casi in cui il principio dell’unanimità obbliga la maggioranza della popolazione europea a concedere un compromesso a una netta minoranza, come nel caso del veto ungherese sulle sanzioni contro il petrolio russo.
In sostanza, allo stato attuale, il voto di un cittadino maltese, o anche lussemburghese, vale e incide molto più di quello di un tedesco, un italiano o un francese.
Eppure, sostiene chi crede che l’unanimità sia invece da mantenere, l’Unione Europea ha dimostrato recentemente che può comunque agire prontamente (o, almeno, con una certa efficacia).
Basti pensare alla crisi dovuta alla pandemia, durante la quale, dopo alcuni iniziali tentennamenti, l’Europa si è compattata. Lo stesso si può dire per la prima fase dell’aggressione russa all’Ucraina: i pacchetti delle sanzioni economiche imposte al regime di Putin sono stati approvati all’unanimità, e con una certa decisione.
Inoltre, per poter modificare i trattati UE serve comunque l’unanimità. Quindi, per proporre ai piccoli stati di votare per eliminare il loro sostanziale potere di veto, occorre offrire in cambio qualcosa.
Secondo alcuni, i piccoli Paesi dell’Est potrebbero accettare di votare a favore se si decidesse di riavviare il progetto di allargamento dell’UE. Allargamento cui però non tutti sono favorevoli, come ad esempio la stessa Francia di Macron, fermamente convinta che il processo di adesione all’UE non possa avvenire prima di una revisione della governance europea.
Ma anche nel caso in cui si riuscisse a eliminare il requisito dell’unanimità, si porrebbe un ulteriore problema, scrive Angelos Chryssogelos su “Politico”. Cosa potrebbe accadere in un Paese dopo numerose sconfitte contro la maggioranza qualificata del Consiglio?
Ci potrebbe essere il rischio di un’avanzata del nazionalismo antieuropeista locale, oltre che di tentativi di non applicazione delle norme decise dalla maggioranza.
Secondo alcuni, tra cui lo stesso Chryssogelos, il vero problema dell’Unione sarebbe a monte, e coinciderebbe (più che con il criterio dell’unanimità) con la debolezza delle forze politiche europeiste, e lo scarso interesse che queste (e i cittadini europei) avrebbero per un’Europa più integrata e compatta, e maggiormente presente sullo scenario internazionale.
Difatti, il peso dei Paesi più piccoli e delle minoranze intransigenti, nonostante il potere di veto, è in realtà andato via via assottigliandosi, complice il maggiore coinvolgimento dei Paesi più grandi (e popolosi) nelle politiche comunitarie degli ultimi anni.
Vi è però chi crede fermamente il contrario, come il think tank indipendente Institut Jacques-Delors, e suggerisce di concentrarsi sugli ultimi successi dell’UE. Questi sarebbero, tra le altre cose, la dimostrazione dell’accresciuta solidarietà interna formatasi negli anni tra i vari stati membri. Perciò, il passaggio a un processo decisionale di tipo maggioritario non dovrebbe comportare grossi problemi.
Il progetto europeo, insomma, avrebbe dimostrato le sue potenzialità, le quali, però, necessiterebbero di un ulteriore sviluppo. Inoltre, vi sono alcuni esempi di organizzazioni internazionali che hanno adottato il principio della maggioranza senza particolari difficoltà, quali l’OMS e la World Trade Organization.
Per modificare i trattati UE, secondo la via ordinaria, è necessario convocare una Conferenza intergovernativa, che possa ricevere e vagliare in corso d’opera le eventuali proposte della Commissione e del Parlamento europei, così come quelle dei vari governi e parlamenti nazionali. Un processo che potrebbe durare anni. Ad ogni modo, il Parlamento europeo ha già espresso il suo parere, che è favorevole alla revisione dei trattati.
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