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  • Laura De Paris

Architettura tra passato e innovazione nell’era post covid-19

Aggiornamento: 10 giu 2021

Esiste da sempre uno stretto legame tra l’evoluzione dell’architettura e la spinta alla prevenzione delle malattie. Dalla rivoluzione industriale ad oggi, l’esigenza di vivere in luoghi sani ed igienici ha portato all’isolamento delle aree cimiteriali, alla raccolta e depurazione delle acque piovane e alla realizzazione delle reti fognarie. L’epidemia di colera del XIX secolo portò alla costruzione delle reti e delle infrastrutture stradali come le conosciamo. La tubercolosi (iniziata nel XVII secolo e durata 200 anni) ad ospedali con spazi luminosi, puliti e bene aerati.



L’idea stessa di abitazione nasce dall’esigenza di protezione insita nell’essere umano. La casa è il luogo dove ripararsi dalle avversità, siano esse dovute ad agenti naturali, che patogeni. Ed è esattamente quello che è successo con lo scoppio della pandemia da Covid-19: le persone si sono rinchiuse nelle proprie abitazioni. Eppure l’esperienza per alcuni si è trasformata in incubo. Difficile conciliare famiglia, vita domestica e lavoro. Passata la fase 1, molti cittadini hanno iniziato a cercare dimore in periferia, possibilmente con uno spazio aperto fruibile e delle vere e proprie postazioni ufficio interne alla residenza. La ricerca di verde e di ossigeno sta portano ad allontanarsi dalle città. L’unità abitativa è sempre al centro della vita dell’uomo, ma le esigenze a cui essa deve rispondere sono mutate.


Come evitare allora una fuga dai centri urbani a favore delle campagne e delle valli? Per architetti, ingegneri e urbanisti la risposta è semplice: portare la natura all’interno degli abitati e tornare a sistemi costruttivi tradizionali come le case a corte o a patio. Ispirarsi al passato per costruire il futuro, riprogettare gli spazi e utilizzare la tecnologia in ottica sostenibile non sono temi estranei al dialogo architettonico degli ultimi anni. Le idee progettuali di Green e Smart Cities partono proprio da questi presupposti.


I concetti di flessibilità degli spazi e di permeabilità e compenetrazione tra interno ed esterno dovranno essere alla base della futura progettazione sia a livello edilizio che urbanistico. Per questo gli spazi intermedi, come cortili, patii, logge, giardini e terrazze dovranno riacquistare un ruolo di spessore, in quanto filtri, ma anche come nuovi luoghi aggregativi sicuri. Le divisioni interne agli appartamenti dovranno permettere una flessibilità di funzioni d’uso (camera da letto, soggiorno, zona studio, ufficio, palestra, ecc.). Le aree comuni dei condomini dovranno essere ampliate per creare luoghi di smart workinged e-learning usufruibili da chi vi abita. I quartieri dovranno poi essere pensati come organismi autosufficienti da un punto di vista infrastrutturale, energetico e di servizi, oltre che di ampie zone verdi.


In Europa vi sono già alcuni esempi virtuosi. L’eco-quartiere Hammarby a Stoccolma si fonda su social housing, mix funzionale, verde e viabilità pedonale. A Lione il quartiere La Duchére si compone di aree residenziali intercalate a corti e parchi. Altri rioni sostenibili si possono trovare a Marsiglia e a Londra. In Italia ne spiccano tre: il progetto di riqualificazione dell’ex Manifattura Tabacchi a Firenze, il quartiere Le Albere a Trento e ancora l’ex Manifattura Tabacchi a Rovereto, che vede anche l’inserimento di un’isola di fitodepurazione.


In ambito locale, già dal 2014 il Comune di Trento, in collaborazione con la Fondazione Bruno Kessler e l’Università degli Studi di Trento, sta promuovendo l’iniziativa Trento Smart City, che ha all’attivo tre progetti ultimati e quattro in fase di realizzazione. Il piano prevede l’utilizzo delle più moderne tecnologie con lo scopo di migliorare la vivibilità trentina. Punta su mobilità elettrica, riqualificazione energetica degli edifici, razionalizzazione dell’illuminazione pubblica e servizi rapidi di comunicazione ed informazione ai cittadini.


In futuro, considerando l’impatto Covid-19, ci si potrebbe concentrare su come arginare il contatto in ambienti pubblici. Magari con comandi vocali agli ascensori, rilevatori di presenza per l’accensione delle luci e apertura automatica delle porte d’ingresso per farci sentire nuovamente i benvenuti.

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