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  • Immagine del redattoreMatteo Gibellini

Brian Eno per il Trentino, l'inedito habitat (VIDEO)

Il racconto di un viaggio insolito, sospeso e a tratti surreale, tra voce e atmosfere sonore. Per un giorno mi addentro nel ventre della musica ambient.

19 agosto 2022 - Dopo una tempesta estiva, ho la fortuna di fare incontri ravvicinati del terzo tipo. Al Castello del Buonconsiglio di Trento si materializza agli occhi di curiosi e giornalisti la figura di Brian Eno: il padre della musica ambient. Ha lavorato con i più grandi dai Talking Heads a Peter Gabriel, dagli U2 a Graces Jones. Ha contribuito a comporre Heroes, iconico brano e album di David Bowie, assieme a tutta la trilogia berlinese (Low, Heroes, Lodger).

La sua presenza è una rarità. Ha voluto subito precisare quanto lui odi viaggiare e preferisca stare nel suo studio a creare e sperimentare nuove sonorità. Un grande lavoratore che sa quello che fa e ama ricercare atmosfere musicali diverse. Ma la tenacia dei trentini lo ha indotto a non rinunciare ad una “toccata e fuga” nella città alpina, uscendo dal suo studio inglese.


Il “Beethoven contemporaneo”, riconosciuto così da molti, ha deciso di mettersi in gioco, ritrovando nel Trentino il suo nuovo habitat per sperimentare. Le sue installazioni trovano luogo in due castelli: Castello del Buonconsiglio a Trento (fino al 6 novembre) e Castello di Beseno (fino al 10 di settembre, ogni venerdì e sabato sera).


Dal luogo in cui parla Eno, ci sono tre anfore. Misteriose e silenziose durante l’attesa dell’artista, nel chiacchiericcio dei presenti. Come addobbi di un giardino che prende le sembianze dell’Eden, sovrastato da quelle piante in fiore, segno di un’eterna primavera.


La stagione dove tutto rinasce. Assieme a quel risveglio, l’artista si ambienta, distrugge e crea, narra le sue emozioni, sente e dissente e comincia a generare. È il processo della musica generativa, suo marchio distintivo. In quelle anfore sono intrappolati tre brani inediti.


È l’audio scultura per i Giardini del Magno Palazzo, evoluzione dei “classici” Speaker Flowers, originariamente destinati agli ambienti interni. D’altronde, Brian Eno ama ri-generare. La sua opera è in un tutt'uno con l’ambiente circostante.


Quando dalle “bocche” delle anfore cominciano ad uscire i primi suoni, Eno non perde tempo, mi punta e si dirige verso di me. Faccio in tempo con la mia macchina fotografica a catturare il momento che oserei definirlo un atto artistico.

E qui traspare l’onestà e la generosità sia dell’uomo che dell’artista. Quest’ultimo vuole che lo spettatore non resti immobile dietro alle transenne, ma che si immerga nel suo habitat sonoro. Perché altrimenti cessa di esistere.


Ed è bello vedere l’artista che irrompe nei canoni istituzionali e fa prevalere l’arte con un gesto simbolico. Quello dell’accogliere l’ascoltatore e permettergli di vivere la quiete dell’atmosfera creatasi con la sua musica. Le persone si disperdono tra i vasi in terracotta e io seguo. Eno si fa spazio tra la folla, mettendosi da parte.


Un percorso che continua. Sotto gli sguardi dei principi vescovili del Castello (Sala Vescovile), si innestano gli sguardi di diciotto volti reali. Fotografie che si combinano producendo opere d’arte inaspettate e insolite.


"Nell’installazione Face to Face prende piede una situazione tragica che porta il nome di Between coming and going, tra andare e venire. Parla della morte di cui in realtà non ne so nulla” come afferma il musicista. Il tema della morte ritorna sempre come se l’artista e tutti quelli come lui volessero sdoganarla nel momento preciso in cui si genera l’opera, quindi la vita. E non è un caso, la commistione tra vita e morte.


Nel Cortile dei Leoni c’è l’elemento inedito di tutto il suo lavoro. Brian Eno spiega che nel cortile ha sperimentato una cosa nuova. La musica in sottofondo, che lui chiama Long Song, non è solo musica ambient ma è anche voce. E quella voce appartiene alla sua figlia più piccola. “È la prima volta che offro questo tipo di esperienza”, lui dice. Due parole: magico e intenso.


La sua essenza artistica risiede ancor di più nell’installazione realizzata a Castel Beseno. È un’opera audiovisiva, proiettata sulle Mura Est del Castello. La si definisce pittura di luce che è un adattamento specifico dell’opera più popolare di Eno, intitolata 77 Milion Paintings for Beseno.

"Concepito come musica visuale, nasce dalla costante ricerca di Brian Eno sulla luce come mezzo artistico e dal suo desiderio di esplorare le nuove possibilità estetiche offerte dalla tecnologia: sovrapponendo in ordine casuale i layer di 400 dipinti realizzati dallo stesso Eno, un software genera 77 milioni di combinazioni senza mai ripetersi. Sincronizzato con l’opera visiva in movimento, prende vita un tappeto sonoro unico e irripetibile, tale che nessun suono è udibile una seconda volta."


Il luogo è suggestivo. Il verde di un tipico prato inglese, l’attesa scandita dalle gocce d’acqua che cadono come se appartenessero all’installazione.


Poi, ci sono le persone. Turisti finiti lì per caso, alcuni ignari su chi sia Brian Eno ma catturati da quella atmosfera sonora unica; come il ragazzo adolescente, un po' distratto e sognatore, che iniziando a muovere i primi passi con la sua band appena nata, si ritrova improvvisamente in una realtà extraterrestre.


O il collezionista di autografi da Bolzano che con i suoi occhi pretenziosi non dà tregua all’artista o l’insegnante di lingua inglese di Foggia che, tra una mia ripresa e l’altra, tiene molto a sottolineare come qualsiasi lingua rappresenti l’identità di un popolo.


In fin dei conti, lo sa molto bene anche Brian Eno che ha confidenza con le lingue e con il linguaggio in particolare. Soprattutto quello sonoro che ha il carattere distintivo dell’inclusività e la presenza di un pubblico variegato lo dimostra. Fa parte del dipinto.


Il viaggio in treno del musicista tra le montagne del Trentino diviene ispirazione per quell’esperienza sensoriale che ci coinvolge tutti.


Non esclude nemmeno le stonature. Le trasforma, le include e genera nuove composizioni che suscitano sentimenti. Forse, il suo sentirsi più europeo che inglese deriva dal suo istinto di unire tutti e tutto in un unico habitat. Il Trentino, terra di Alcide De Gasperi non poteva che essere il terreno migliore per sperimentare questa nuova esperienza. Con un sorprendente ritorno alla voce (ndr. che ritroveremo nel suo prossimo album, in uscita ad ottobre) che ricostruisce un autentico sodalizio con la musica ambient. Una voce che rompe le regole e racconta uno spazio.


E sotto il cielo stellato, con lo sguardo rivolto alle mura del Castel Beseno, chiudo gli occhi e mi lascio trasportare nel suo inedito habitat, dove i musicisti compongono seguendo l’armonia dei corpi celesti.



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