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Anna Bortuzzo

Covid Vague: la pandemia sul piccolo schermo

“Non riesco” mi dicevo, e dovevo mettere in pausa l’episodio. Sullo schermo i personaggi si baciavano, si stringevano le mani, nessuno indossava la mascherina né si igienizzava le mani. Non riuscivo a separare la mia vita quotidiana da quella rappresentata sullo schermo del pc. Erano serie tv vecchie, stagioni già andate in onda che dovevo recuperare. Episodi girati e trasmessi quando ancora il termine “coronavirus” apparteneva solo al mondo medico. Era fine marzo 2020, mezzo mondo era già in lockdown, l’altra metà stava per entrarci.

“Non riesco” sbuffo, metto in pausa l’episodio, cerco su internet quanti episodi hanno dedicato al covid. The Good Doctor (ABC), This Is Us (NBC), Shameless (Showtime), A Million Little Things (ABC), Grey’s Anatomy (ABC), Black-ish (ABC), Superstore (NBC), sono tante le serie televisive che hanno deciso di inserire nella loro storyline il Covid-19. Il fenomeno è stato così diffuso da portare gli addetti ai lavori ad inserire addirittura una categoria dedicata su Wikipedia.


Come si nota dai titoli sopra elencati, l’inclusione del Covid nella trama non è una prerogativa esclusiva dei cosiddetti medical drama, che hanno giustamente colto l’opportunità per informare il loro pubblico e riflettere il più importante avvenimento medico della Storia recente. Ma anche altri show hanno preso la stessa decisione, mostrando come il covid abbia colpito e fortemente influenzato la vita privata e lavorativa dei propri personaggi. È questo il caso di Superstore, una sitcom ambientata proprio in un grande magazzino, che ha scelto di rispecchiare il disagio ed i problemi che i reali lavoratori del retail hanno dovuto affrontare durante la pandemia.



Inevitabilmente alcune serie famigliari si ritrovano ad essere ambientate nel 2020, Covid incluso. In particolare tre serie pluripremiate evidenziano modi diversi di gestire la storyline “infettata”: This Is Us, arrivata alla sua quinta stagione, la settima stagione di Black-ish, e Shameless, che chiude con undici stagioni. La prima segue le vicende della famiglia Pearson, focalizzandosi sui tre figli ormai adulti, in un continuo flashback e flash-forward che vede un incredibile lavoro sui personaggi e la storia, sempre intrecciato con i temi dell’attualità. Black-ish ritrae la vita domestica e sociale dei Johnson, una famiglia afroamericana che si deve destreggiare fra questioni personali e sociopolitiche. Con Shameless ci si sposta invece nel South Side di Chicago, dove i figli di Frank Gallagher cercano si sopravvivere in un ambiente famigliare povero e disfunzionale: nell’ultima stagione il tema della gentrificazione del quartiere si intreccia con quello della pandemia.


È importante notare le diverse tempistiche che le produzioni di queste tre serie si sono trovate ad affrontare. I Pearson sono stati bloccati da nuove restrizioni Covid appena rientrati dalla pausa invernale, il che ha ritardato le riprese e la messa in onda dei successivi episodi. I Johnson e i Gallagher, invece, dopo aver rimandato di diversi mesi l’inizio della produzione, sono riusciti ad avere una tabella di marcia e di uscita molto più regolare.


Gli showrunner dei tre show hanno deciso di tenere la pandemia in background – con alcuni picchi di emersione – per tutta la lunghezza della nuova stagione. Ma mentre in Shameless le regole anti-contagio sono perlopiù sempre rispettate, in This is us il virus ogni tanto sembra sparire, per poi riemergere quando un personaggio si presenta con la mascherina. Diverso ancora è il caso di Black-ish che, essendo ambientato per lo più fra le mura domestiche, non deve giostrarsi fra mascherine e distanze.

Certo ci sono molte motivazioni per decidere di intraprendere l’una o l’altra strada. Se in Shameless la presenza continua del Covid, in primo luogo nell’uso costante delle mascherine da parte dei personaggi, permette di immergersi meglio nella storia, ciò comporta però che non sempre si capisca quello che dicono. D’altra parte, la chiarezza del parlato in This is us si scontra con una narrazione poco organica, in cui è evidente che il girato sia stato talvolta riadattato per includere la situazione pandemica.


Proprio per evitare questi tipi di problemi, alcune delle produzioni che hanno deciso di inserire il Coronavirus nella loro trama lo hanno fatto solo per i primi episodi, usando poi la “magia” dei vaccini per ritornare ad un mondo pre-pandemico. Solo pochi show hanno deciso infatti di affrontare il mondo post-pandemico, dato l’elevato rischio di darne un’errata rappresentazione.


D’altronde queste sono serie uscite solo alcuni mesi dopo l’inizio della pandemia e c’è chi ritiene sia troppo presto, o che fra qualche anno saranno già datate. Tuttavia sono tanti i prodotti cinematografici che attraversano l’11 settembre 2001, e la caduta delle Torri Gemelle non risulta ancora “datata”, così come accade per i vari conflitti scoppiati nel secolo scorso e poi riportati sul grande e piccolo schermo. Certo ciò che cambia è che la loro produzione non è stata immersa nell’evento che raccontava, come invece è accaduto col Covid. È proprio la coincidenza temporale fra fiction e realtà ciò che più ha fatto discutere.


Eppure, mentre gli eventi storici sopra riportati hanno una chiara limitazione temporale – nonché parzialmente spaziale - bisogna domandarsi se anche il covid seguirà questa strada. Sarà questa l’unica pandemia del ventunesimo secolo ad apparire sui libri di storia? O il 2020 sarà indicato come il primo anno di pandemie? Si tratta di Covid Vague, o di Pandémies Vague?

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