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Diego Gasperotti

La Commissione europea propone di tagliare i fondi all’Ungheria

Dopo anni di discussioni e scontri, la Commissione ha infine deciso di proporre un taglio ai finanziamenti comunitari destinati all’Ungheria. Per ottenere quei fondi, il Governo di Budapest dovrà invertire la rotta, e varare alcune importanti riforme per contrastare l’endemica corruzione locale. Tutto questo grazie al meccanismo di condizionalità: un nuovo potere che la Commissione ha ottenuto solo di recente.

Giovedì 15 settembre, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione (433 voti a favore, 123 contrari e 28 astenuti) che definisce l’Ungheria un regime ibrido - “un’autocrazia elettorale”. In sostanza, la stragrande maggioranza dei deputati europei ritiene che lo Stato ungherese non sia più considerabile una democrazia.


Domenica 18 settembre, la stessa Commissione europea ha proposto il blocco di una fetta dei finanziamenti dell’UE all’Ungheria, giustificato dalla corruzione diffusa nel Paese. Secondo alcune stime, si tratta di 7,5 miliardi di euro – pari a circa il 5% del PIL ungherese.


Questo si aggiunge al congelamento di quella parte del cosiddetto Recovery Fund destinata a Budapest (si parla di altri 5,8 miliardi di euro).


La proposta della Commissione è approdata al Consiglio dell’UE, che ha tre mesi di tempo per prendere una decisione, a maggioranza qualificata (che corrisponde al 55% dei membri del Consiglio, rappresentanti almeno il 65% della popolazione dell’Unione).


L'Ungheria, dal canto suo, avrà 2 mesi per porre rimedio alle sue mancanze, mettendo in atto le riforme reputate necessarie dalla Commissione. Il Primo Ministro Viktor Orban si è già mosso in questo senso: sono in corso delle trattative per un piano anti-corruzione nazionale.


Lo scontro tra la Commissione europea e l’Ungheria di Orban è in atto ormai da diversi anni. Eppure l’UE, prima di oggi, non aveva mai minacciato l’adozione di misure così drastiche – né contro l’Ungheria né contro nessun altro Stato membro.


Sono ormai appurati i problemi strutturali dello Stato ungherese: corruzione endemica, ripetute violazioni di alcuni diritti dei cittadini (soprattutto delle persone LGBT+, delle minoranze e dei richiedenti asilo) e progressiva riduzione dell’indipendenza della magistratura.


Le difficoltà dell’Ungheria in Europa, e il suo allontanamento dal modello democratico, risalgono grossomodo al 2010, proprio quando Orban vinse le elezioni per la prima volta.


Dieci anni dopo, secondo molti osservatori il Paese ha perso lo status di “democrazia completa”, ed è uno degli Stati più corrotti dell’Unione – se non il più corrotto.

L’Ungheria di Orban si è sempre mossa in direzione ostinata e contraria rispetto ai principi fondanti dell’UE: negli anni, le riforme del sistema giudiziario, gli interventi sulla società civile e sul mondo dei media sono stati accompagnati da una virulenta retorica contro i “burocrati di Bruxelles”.


Eppure, secondo alcuni osservatori sono stati proprio i finanziamenti europei, assieme all’atteggiamento conciliante mostrato dall’Unione nei confronti delle intemperanze di Orban, a garantire negli anni il consolidamento del gruppo di potere di cui il Primo ministro è il riferimento, e che controlla ampiamente l’industria, l’accademia e l’informazione ungherese.


Anche per questo, il Governo di Budapest si è affrettato a imbastire un piano anti-corruzione che venisse incontro alle richieste europee. Secondo quanto riferito dal Commissario Johannes Hahn, l’Ungheria si è impegnata a introdurre le misure necessarie a risolvere le questioni sollevate dalla Commissione entro il 19 novembre.


Formalmente, l’Unione agisce per “proteggere” i fondi comunitari dalla corruzione locale: in Ungheria sono infatti frequenti le gare d’appalto con un unico offerente, e la concessione di ampie fette di mercato a poche e specifiche aziende. La stessa Commissione ha indicato inoltre le irregolarità nelle aste per i terreni agricoli demaniali e le difficoltà delle indagini in merito come ulteriori problematiche da risolvere.


Da alcuni anni si discuteva della possibilità di dotare la Commissione europea di un potere che le consentisse di “legare” i fondi dell’Unione al rispetto dello Stato di diritto. A dicembre 2020, il Consiglio europeo acconsentì alla costruzione di un meccanismo di condizionalità, che proteggesse i fondi dell’UE da “ogni tipo di frode, corruzione e conflitto d’interesse”.


Polonia e Ungheria fecero in seguito appello alla Corte di Giustizia europea contro il nuovo regolamento. A febbraio 2022, però, la Corte ha respinto le istanze dei due Paesi, dando il via libera alla Commissione.


In sostanza, basandosi sulla Relazione annuale sullo Stato di diritto, sulle decisioni della Corte di giustizia e sulle relazioni della Corte dei conti, la Commissione ha ora il potere di valutare se attivare il meccanismo di condizionalità contro uno degli Stati membri.


Ad aprile il meccanismo è stato attivato contro l’Ungheria.


Nonostante questo, però, la Commissione ha dichiarato di seguire con attenzione le azioni intraprese dal governo ungherese in risposta al congelamento dei fondi, mostrandosi così disposta a una trattativa.

Secondo alcuni osservatori, è necessario che l’Unione monitori con cautela le prossime mosse del Primo ministro Orban. Kim Lane Scheppele, professore universitario specializzato in Affari costituzionali dell’Ungheria, sostiene che se la Commissione dovesse fissare un target statistico per valutare i risultati ottenuti dal Governo ungherese, sarà inevitabilmente ingannata.


Secondo Euractiv, il modo migliore per evitare che ciò accada – d’altronde è riconosciuto da più parti che la magistratura ungherese sia controllata più o meno direttamente dal Governo – è chiedere a Budapest di cooperare con la Procura europea (ad oggi collaborano 22 Stati membri su 27). La Procura si occupa espressamente di indagare e perseguire frodi contro il bilancio comunitario, e col suo apporto si potrebbe garantire una certa imparzialità nella misurazione dei risultati ottenuti dall’Ungheria.


Quest’ipotesi, però, non sembra essere stata presa in considerazione dalla Commissione. In ogni caso, l’Ungheria deve fare presto: se non presenta un piano ritenuto soddisfacente entro fine anno, rischia di perdere definitivamente i fondi congelati.


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