Da umile fioraio a primo Presidente della Repubblica dei cantautori, Amilcare Rambaldi, già cultore di musica e poesia, raccolse l’atto di protesta estremo di Luigi Tenco e istituì il Premio Tenco nel 1974.
Il 23 ottobre scorso, si è conclusa la 45° edizione della Rassegna della canzone d’autore e si sono celebrati i cinquant’anni del Club Tenco. Il tutto in concomitanza con la formazione del nuovo governo che ha giurato davanti a Sergio Mattarella.
Mentre il Paese, tra un governo e l’altro, viene trascinato nell’ombra del rischio di una guerra nucleare, al Tenco accade l’opposto. Si crea, si discute, si suona e lo si fa con la parola e con una chitarra. Non è ammessa alcuna violenza. Ripudia la guerra come è previsto dall’art. 11 della Costituzione italiana. Non si producono e non forniscono armi a nessuno. Di “nucleare” c’è solo quell’amalgamarsi di generi musicali. Assieme a loro i cantautori.
Sì, perché il Tenco è un sottogoverno, uno Stato autonomo. Una San Marino neutrale senza esercito.
Il Tenco è genesi prima di tutto. “Nucleare” è la forza che li lega. Sono come protoni e neutroni. Ma non hanno il secondo fine di distruggere e distruggersi. Anzi, uniscono e generano.
Guccini, Vecchioni e Conte, stretti amici del Club Tenco, sono i “senatori a vita” che hanno saputo interpretare al meglio le gesta epiche di Rambaldi. Hanno saputo raccontare vari spaccati di vita e con la canzone hanno portato avanti una battaglia a difesa della giustizia sociale.
Oggi, c’è Sergio Staino a rivestire il ruolo istituzionale del Presidente. Ex-firma storica (ed ex direttore) dell’Unità, intrepido vignettista, fieramente di sinistra. Forse, se dovessimo attribuire un indirizzo politico, il Tenco è la vera sinistra che manca dai tempi di Berlinguer.
In verità, per la sua varietà di pensieri, non c’è sinistra e destra che tenga. Alcuni parlano di anarchia, altri di autarchia. O una ricca miscela dove non manca un sano dialogo interculturale.
Il 45-esimo “governo dei cantautori” è stato avviato dal premier Antonio Silva, in carica da più di quarant’anni, da sempre riconfermato all’unanimità. A suo fianco, l’instancabile vicepremier Morgan, dichiaratamente anarchico e mina vagante che fino a qualche giorno prima vagava oltre “confine” per dare consigli a Giorgia Meloni sull’uso di un linguaggio edulcorato. Oggi, ci lavora persino assieme come “consulente” al Ministero della Cultura. Sono timide strategie d’apertura verso poli opposti?
No, al Tenco probabilmente interessa più essere un’alternativa, piuttosto che fare le veci di un governo di potere ed “identitario”. Resta nella sua vera funzione istituzionale (quella culturale), ma esce dalla sua nicchia. Bisogna scordarsi dei tempi in cui additava malamente la canzone leggera. Considerata all’epoca come emblema del consumismo sfrenato, tipico del capitalismo.
Staino in un’intervista ribadisce che non è più tempo di guerra. Il Tenco si apre anche al Festival di Sanremo. Esce dalla sua posizione elitaria.
“Il muro che in passato ha sempre separato queste due 'istituzioni' musicali, così vicine geograficamente e così lontane musicalmente se non ideologicamente, ora è abbattuto o comunque notevolmente ribassato”.
Forse, c’hanno ragione certi cantautori e intellettuali definirlo ambiente anarchico. Non ci sono regole perché la legge morale è intrinseca nei loro spiriti. Il risultato è evidente nelle canzoni e nelle parole, condivise e non urlate.
Non si insegue un consenso, lo si genera come ci tiene a sottolineare dal palco dell’Ariston il cantautore Pino Marino. Questa è la prima grande differenza rispetto alle élite che si alternano a Palazzo Chigi. Non si parla proprio di militanza politica.
Ognuno si prende un impegno, si fa carico di una responsabilità politica. Ma lo fa con la musica, con l’agire artistico. In questo caso, è meglio parlare di militanza artistica.
Il Tenco è una squadra composta anche da rispettabili cantautrici. La dimostrazione di quanto il protagonismo femminile sia diventato più forte nel cantautorato italiano, e non solo. Da Erica Mou alla cantautrice nordamericana Eileen Rose, da Simona Molinari fino al duo Alessia Arena e Chiara Riondino.
Poi, c’è la solennità della voce di Alice e il suo sentito omaggio a Battiato. Come quella Povera Patria che strappa qualche applauso dalla platea e dice tutto. È tremendamente attuale. Ma lascia sempre aperta una porta al cambiamento. E per tenere insieme quel governo diventa “una questione di chimica” come canta Ditonellapiaga. Chimica che si instaura tra vecchie (e sagge) e giovani (e curiose) leve.
Il circolo si svecchia con una Madame che passa da Luigi Tenco alla sua “Voce” in stile (t)rap, tra memoria e futuro, e con un Marracash che fa un album da signore. Sul filo della retorica colpisce laddove pochi colpiscono nell’alveo dell’hip hop. La domanda sorge spontanea: l’hip hop è una nuova forma di canzone impegnata? Il Tenco se la pone da tempo, si mette in discussione ed indaga. Sa riconoscere l’unicità e crea spazi inediti. Fa un passo avanti. L’intera classe politica italiana arretra.
Nuovi mondi da raccontare, urgenze da esprimere. Dalla Venezia deturpata e trasformata cantata da Gualtiero Bertelli alla speculazione edilizia di Scampia, una delle periferie più difficili di Napoli, da cui provengono gli A’67 che gridano la loro rabbia con “Jastemma”. Sono anche tempi della bestemmia.
Poi, loro, i senatori della musica italiana. Nel “Senato” della canzone d’autore c’è chi ci entra per la prima volta come Claudio Baglioni che si libera finalmente da tutte le etichette del passato e c’è chi è una vecchia guardia come Fabio Concato e Giorgio Conte, fratello del famoso Paolo.
È un governo che ama le diversità e dialoga con terre straniere. Dalla vicina “nouvelle chanson française” di Bénabar ai cantautori nordamericani che, come Michael Mcdermott, devono fare i conti con la vita.
Infine, l’assenza che diventa presenza attraverso la musica di chi combatte, come il musicista russo Jurij Ševčuk, contro le ingiustizie di un regime che non risparmia. Jurij è un uomo che attraverso la sua musica ha trasmesso un messaggio libertario e che alla domanda di Putin:”Ma lei chi è?” ha risposto: “Sono Jurij, un musicista”.
Il coraggio dei cantautori si misura in questo. Un “governo” con le palle. Dove la democrazia esiste e dove ci si fa un esame di coscienza al giorno.
Meglio farsi governare dai cantautori che dai politici. I primi hanno memoria, mentre i secondi no. Si sa, la memoria è la base del futuro. Aiuta a non commettere errori del passato.
Utopia? Può darsi. Ma bisogna dire che un governo così non sarebbe male con tutte le sue cinquanta sfumature. Dove onorevoli non sono i soliti politici ma sono quei parolieri che cantano l’anima. E dove la Repubblica è fondata sulla cultura. Viva Rambaldi.
Video-intervista ad Antonio Silva, conduttore storico del Tenco
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